Prima vaga promessa dal sapore futuristico, poi innovazione in procinto di fare il proprio ingresso nelle nostre vite e infine realtà.
L’exploit dell’intelligenza artificiale, sebbene ancora agli albori, è già diventato parte integrante della quotidianità sotto ogni punto di vista, a cominciare da quello professionale.
Un ruolo significativo come motore dell’innovazione e destinato non soltanto a imprese, brand e grandi organizzazioni.
Anzi: nell’era della reputation economy, l’AI è pronta a rivelarsi un sostegno generalizzato anche in ambito personal branding, un prerequisito fondamentale per costruire e gestire il proprio marchio trasmettendone il valore.
E se il personal branding è alla base del successo di grandi realtà, è diventato una conditio sine qua non per qualunque professione.
È quanto emerge da un sondaggio di Microsoft, che mostra come l’80% dei recruiter utilizzi le informazioni relative alla reputazione online a fini di assunzione e possa scartare un candidato, nel 70% dei casi, a causa di quanto trovato in rete.
La qualità della presenza online e i motori di ricerca hanno quindi sostituito il vecchio curriculum, e i progressi quotidiani dell’intelligenza artificiale renderanno ancora più importante, per imprese e professionisti, saper gestire il proprio personal brand in modo consapevole.
Secondo l’esperta di personal branding Claudia Barberis, docente della materia presso l’Università Cattolica di Milano e speaker TEDx, che cura la comunicazione personale di imprenditori e aziende con la sua omonima società, “in un'epoca sempre più orientata verso l'approccio scientifico-tecnologico, il personal branding si completerà affiancando un approccio umanistico.
L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando dalle fondamenta il modo in cui comunichiamo all’esterno, ed è fondamentale vedere le nuove tecnologie in un’ottica complementare anziché competitiva”.
Ma, in un mondo iper-competitivo e globalizzato in cui prodotti e servizi tendono a somigliarsi sempre di più, a fare la differenza sarà sempre più il fattore umano e l’abilità nel differenziarsi.
Anche in una prospettiva di vantaggio rispetto alla concorrenza.
“Lo abbiamo visto con ChatGPT: strumenti dal forte potenziale disruptive diventano ogni giorno più democratici, mettendo a disposizione di un numero infinito di professionisti – almeno sulla carta – le stesse possibilità.
Il rischio – sottolinea l’esperta - è quello di un’omologazione diffusa in cui riuscire a emergere diventa una sfida nella sfida, considerata l’enorme quantità di offerta disponibile in ogni settore.
La conseguenza logica, dunque, è puntare sull’unicità e sul fattore umano, unico tratto veramente distintivo tra essere umano e macchina. Farti scegliere perché sei tu”.
Fenomeni come la great resignation e il quiet quitting, il cui impatto ha riguardato solo in Italia circa un milione e 666mila lavoratori, ha messo in luce tutti i limiti di un approccio poco orientato alle loro individualità specifiche.
L’obiettivo? È riumanizzare il business, dando valore alla persona in quanto persona.
“Il personal branding, se ben strutturato e con una visione di lungo periodo, rappresenta uno dei modi migliori per tutelarsi dal rischio di sostituzione professionale da parte da parte della concorrenza e dell’intelligenza artificiale.
Per un esperto della disciplina, far prevalere la valorizzazione delle unicità significa proprio questo: creare identità forti e profonde, lavorando sulla persona e sui brand in tutte le loro sfaccettature, dalla comunicazione ai tagli narrativi passando per la psicologia e l’immagine visiva.
Essere competenti non è più sufficiente se il proprio valore rimane invisibile, così come essere bravi è oggi la base di partenza e non più l’obiettivo”.
Barberis, che supporta gli imprenditori nella parte tecnica ma anche in quella psicologica per tradurli al meglio e apportare profondità in tutte le fasi online e offline della loro comunicazione, sottolinea come un altro aspetto da non sottovalutare, a questo proposito, riguarda le dinamiche ibride che caratterizzano già oggi gran parte dei lavori.
“L’intelligenza artificiale - spiega - sta mutando in profondità tutti i settori, rendendo possibile a un range sempre più ampio di persone l’accesso al mercato del lavoro.
Questo richiede la capacità di essere attrattivi e mostrarsi tali.
Il cuore del personal branding, infatti, consiste nel far emergere il volto umano che si cela dietro un brand o un’azienda, allineando la comunicazione ai propri valori di riferimento.
Nell’epoca della trasformazione digitale e dell’AI, il solo modo per riuscirci è creare relazioni di fiducia con il proprio pubblico di riferimento, clienti e dipendenti,
Un processo non istantaneo, ma che anzi richiede un supporto professionale in grado di esplorare con efficacia tutte le profondità di mercato”.
L'88% dei consumatori intervistati da Stackla, una delle realtà più importanti al mondo in materia di marketing, lo conferma: l'autenticità è imprescindibile nel processo di scelta su quali marchi supportare.
E, in modo tutt’altro che sorprendente, il 75% del campione interpellato dalla società di consulenza PwC dichiara che più la tecnologia migliora, più aumenta il desiderio di interagire con persone reali e delle quali ci si fida.
“Oggi più che mai – conferma Claudia Barberis - la vera forza di una persona o azienda risiede nella capacità di attrarre, ispirare e influenzare gli interlocutori creando una connessione umana, prima che lavorativa, che renda riconoscibili, insostituibili e quindi degni di fiducia.
L’obiettivo, in fondo, è proprio questo: valorizzare il talento, la competenza e la persona, che se non comunicati rimangono sottostimati, facendo così leva su valori di fondo in grado di potenziare e ispirare fiducia nel prossimo.
Con tutta la sua potenza, l’AI ha reso il personal branding più importante che mai”.