Innovazione

James Webb: il telescopio spaziale più potente di sempre

James Webb
Contenuto curato da Massimo Chioni

Il James Webb Space Telescope, conosciuto dagli addetti ai lavori con la sigla JWST, è il telescopio spaziale più sofisticato che sia mai stato progettato e costruito sul nostro pianeta, frutto di un lavoro che è durato addirittura decenni. Il suo compito sarà quello di compiere un salto a ritroso nel tempo, per provare a esplorare gli albori del nostro universo, con l’intento di studiare le origini delle galassie, delle stelle e dei pianeti: in una parola, della vita. Si tratta di un progetto a dir poco ambizioso, non solo dal punto di vista dei traguardi che ci si prefigge di raggiungere, ma anche sul piano tecnologico.

La storia del telescopio

Il James Webb Space Telescope è costato più o meno 10 miliardi a mezzo di dollari, e in teoria avrebbe dovuto essere pronto già quindici anni fa, nel 2007. Tuttavia le cose non andarono per il verso giusto, a causa di problemi ingegneristici molto consistenti che fecero lievitare il budget. Ulteriori inconvenienti costrinsero a rinviare il lancio, che alla fine è avvenuto lo scorso 25 dicembre. Adesso, quindi, il telescopio è in viaggio, e nel giro di pochi mesi dovrebbe essere in grado di arrivare al punto di osservazione che gli è stato assegnato, più o meno a 1 milione e mezzo di chilometri di distanza dal nostro pianeta: il cosiddetto punto Lagrange L2. Si tratta di una posizione sufficientemente lontana dalla Terra e dalle interferenze che ne potrebbero scaturire: in questo modo il telescopio avrà la possibilità di esplorare il cielo in maniera accurata e con la massima precisione, cercando possibili indizi relativi alla nascita della vita aliena e di tutto l’universo.

Telescopio spaziale James Webb
Telescopio spaziale James Webb

Le origini del James Webb Space Telescope

La storia del James Webb Space Telescope inizia più o meno un quarto di secolo fa: ai tempi, il telescopio spaziale Hubble, che era stato lanciato in orbita a un’altezza di 530 chilometri, aveva consentito di ottenere risultati davvero importanti, che avevano permesso di capire quanto fossero fondamentali le osservazioni effettuate dallo spazio. Non bisogna pensare, però, che il JWST sia solo un erede di Hubble. Si tratta, infatti, di un successore molto più performante e che ci potrà fornire una gamma di informazioni molto più ampia, vista la sua capacità di ampliare il campo di indagine a lunghezze d’onda e a distanze decisamente più elevate. Di conseguenza, gli studiosi avranno l’opportunità di conoscere oggetti molto più antichi e molto più freddi rispetto a quelli che erano stati rilevati da Hubble. La guida dello staff scientifico del telescopio è John Mather, premio Nobel, il cui obiettivo è quello di provare a trovare le tracce di tutta la storia dell’universo, con riferimento non solo ai pianeti del sistema solare, ma anche alla formazione delle galassie e delle prime stelle.

Le dimensioni sono importanti

Fra i tanti record che caratterizzano il James Webb Space Telescope c’è anche quello delle dimensioni. Si tratta, infatti, del telescopio spaziale più grande nella storia della ricerca. Mai, in precedenza, era stato lanciato nello spazio un apparecchio di questo formato. Basti pensare, per un confronto con Hubble, che il diametro dello specchio di JWST è di 6 metri e mezzo, contro i 2.40 metri del suo predecessore. È anche per questo motivo che il nuovo telescopio sarà in grado di raccogliere una quantità di luce nettamente superiore a quanto era possibile fare con Hubble, così che diventerà possibile esplorare realtà che sono nate quasi in contemporanea con il Big Bang.

James Webb Space Telescope
James Webb Space Telescope

Gli obiettivi degli astronomi

Ma quali sono le speranze degli astronomi che si sono cimentati in questa impresa? Lo scopo è di osservare e analizzare che cosa c’era a 150 milioni di anni dalla nascita del nostro universo. Di quel periodo non si sa niente, ma sono state avanzate solo delle ipotesi di carattere teorico. Il telescopio, per riuscire a osservare gli oggetti target, andrà a scandagliare l’infrarosso. Infatti, la luce che è stata generata da quelle stelle antiche con il passare del tempo si è come stirata, visto che quelle stesse stelle si sono progressivamente allontanate. Ecco, quindi, che attualmente è possibile scoprirle unicamente nell’infrarosso, che rappresenta la lunghezza d’onda ideale anche per analizzare i pianeti al di fuori del sistema solare. Il telescopio, per essere in grado di lavorare nell’infrarosso, deve essere mantenuto a una temperatura particolarmente bassa, e proprio per questo motivo una volta giunto a destinazione aprirà un gigantesco ombrello che gli permetterà di proteggersi dai raggi del sole.

La composizione del telescopio

Sono due le parti più importanti che formano il telescopio: il corpo della sonda è lo specchio. Quest’ultimo ha una superficie che è sette volte più grande di quella di Hubble, ed è grazie ad esso che il telescopio è in grado di raccogliere i fotoni che provengono dall’universo primordiale. Costruire uno specchio tanto grande è molto complicato, ma ancora più difficile è riuscire a mandarlo nello spazio: è questo il motivo per il quale lo specchio in realtà non è formato da un pezzo solo, ma si compone di diciotto specchi di berilio di forma esagonale con un rivestimento in oro. Per quel che riguarda il corpo della sonda, poi, sono presenti i propulsori che servono a orientare l’apparecchio e i pannelli solari che occorrono per la ricarica delle batterie. L’antenna garantisce le comunicazioni e lo scudo assicura tutta la protezione necessaria per la sopravvivenza del telescopio nello spazio.

James Webb, il telescopio spaziale più potente di sempre
James Webb, il telescopio spaziale più potente di sempre

Lo scudo del James Webb Space Telescope

Il fatto è che in quel contesto il James Webb Space Telescope deve fare i conti sia con le radiazioni della sonda che con quelle che provengono dalla Terra e dal Sole: il rischio è che i suoi strumenti, particolarmente sensibili, subiscano delle interferenze pericolose. È per questo che si è deciso di utilizzare cinque fogli isolanti per proteggere lo specchio, realizzati con un materiale noto con il nome di Kapton che per altro già si utilizza per realizzare le tute degli astronauti. Il materiale è rivestito con silicio e alluminio, in modo da riflettere la maggiore quantità possibile di radiazioni. I fogli isolanti si dispiegano per formare una protezione grande più o meno quanto un campo da tennis.

Tutto quello che occorre per la riuscita della missione

Il James Webb Space Telescope proverà a rendere più chiaro qual è stato il compito svolto dalla materia oscura per la formazione del nostro universo: ciò sarà possibile attraverso l’osservazione della formazione delle galassie e delle prime stelle. Il lancio del telescopio è avvenuto lo scorso giorno di Natale, e nelle ore seguenti gli ingegneri a terra si sono dedicati all’organizzazione della sequenza di dispiegamenti: una serie di operazioni tanto delicate quanto complesse. Studiare i misteri che caratterizzano l’universo non è semplice, insomma, ma l’obiettivo è di quelli ambiziosi: aggiornare, o magari stravolgere, quello che sappiamo a proposito dei mondi alieni.

Il lancio del telescopio

Il telescopio spaziale, sigillato in una clean room, è stato lanciato a un milione e mezzo di chilometri di distanza dal nostro pianeta. Le fasi iniziali del formarsi delle galassie, delle stelle e dei pianeti potranno essere osservate e conosciute grazie al suo occhio a nido d’ape. Il lancio è avvenuto al confine nord-est della foresta pluviale amazzonica, nel territorio della Guyana Francese: qui, infatti, ha sede lo spazioporto della European Space Agency, l’Agenzia Spaziale Italiana, che ha curato il lancio e ha fornito due dei quattro dispositivi scientifici che sono presenti a bordo del telescopio. La missione, però, è stata finanziata quasi interamente dalla Nasa, per un valore pari più o meno a 8 miliardi e 800 milioni di euro. Lo spazioporto della Guyana Francese sembra a sua volta un mondo alieno, con strade vuote attraversate da giaguari, uccelli tropicali che cantano e uomini impegnati ad assemblare i razzi e gli apparecchi destinati a esplorare lo spazio dentro grandi edifici vuoti.

Come si è giunti a questo punto

Fino ad ora i ricercatori sono riusciti a osservare migliaia di esopianeti, ma non sono tanti quelli che hanno delle similitudini con i pianeti del sistema solare di cui facciamo parte; la maggior parte, infatti, consiste in mondi davvero alieni. Con la missione di James Webb Space Telescope, gli studiosi sono intenzionati a comprendere come ha fatto l’universo ad arrivare al punto in cui ci troviamo ora. In pratica, si tenta di svelare come sia stato possibile che sia nata la vita da un insieme di buchi neri, di galassie e di stelle. L’idea è scoprire quali condizioni hanno permesso la nascita della biosfera, per verificare se la Terra sia un unicum o se, probabilmente, ci siano milioni o addirittura miliardi di pianeti nella galassia che hanno caratteristiche paragonabili.

James Webb, preparativi per il lancio
James Webb, preparativi per il lancio

Le difficoltà della missione

Come si può immaginare, il viaggio nello spazio di questo telescopio non è proprio una passeggiata di salute, a causa di tante manovre molto delicate. Una lunga serie di operazioni cruciali si dovrà svolgere nel modo preciso in cui tutto è stato programmato, senza possibilità di errore. Il lancio è andato bene, ma le preoccupazioni maggiori riguardano le operazioni di posizionamento dello schermo solare.

I pianeti del sistema solare e gli esopianeti

Fra le scoperte più importanti che sono state effettuate in tema di esopianeti c’è quella relativa alla diversità dei pianeti nella galassia, che è decisamente superiore alla diversità dei pianeti del sistema solare di cui facciamo parte. Ecco perché gli studiosi sono interessati a comprendere come è stato possibile che la Terra diventasse un ambiente favorevole alla vita. Una ipotesi è la presenza di ossigeno e acqua liquida, ma non si può escludere che, invece, tutto dipenda da un’altra condizione, che magari riguarda anche altri pianeti della galassia.

Inconvenienti e ritardi

Si tratta di un progetto molto ambizioso sia a livello ingegneristico che sotto il profilo scientifico, ed è anche per questo che il percorso che ha permesso di lanciare il telescopio è stato piuttosto accidentato. Le difficoltà economiche non sono mancate, e così le frequenti revisioni del budget si sono affiancate a ritardi tecnici e rallentamenti vari. Addirittura c’è stata una polemica che ha riguardato il nome che è stato dato al dispositivo. Al momento, però, tutto sembra essere stato superato, e c’è attesa per iniziare a ricevere i dati scientifici che proverranno dal James Webb Space Telescope. L’analisi dei raggi infrarossi permetterà di scoprire galassie e stelle dell’universo, in virtù di una strumentazione particolarmente sensibile.

L’osservazione di mondi alieni

Il telescopio, proprio grazie alla sua sensibilità, sarà in grado di esplorare mondi alieni, per quanto questo non fosse uno degli obiettivi iniziali della missione. Infatti, nel 1989 – anno in cui è stato concepito il James Webb Space Telescope – non erano stati ancora scoperti i pianeti che orbitano attorno ad altre stelle. È vero che circolavano già delle teorie a proposito dell’esistenza di pianeti simili, ma è solo all’inizio degli anni Novanta che sono stati resi noti i primi esopianeti. Insomma, nel momento in cui l’osservatorio è nato, nessuno faceva riferimento agli esopianeti, che sono stati considerati solo in seguito, dopo che sono stati scoperti.

Il coronografo del James Webb Space Telescope

Il telescopio James Webb è dotato di un coronografo, uno strumento che è in grado di bloccare la luce delle stelle madri di questi esopianeti. È così che la loro immagine può essere restituita. Essendo in grado di osservare attraverso le atmosfere aliene, il James Webb Space Telescope riesce a identificare la composizione dei manti gassosi. Si tratta di capire in che modo tali pianeti si sono evoluti e come hanno fatto a raggiungere la loro posizione attuale. Il telescopio spaziale Kepler, di recente, è stato utilizzato come cacciatore di esopianeti, e ha permesso di scoprire che nella Via Lattea i pianeti che orbitano attorno ad altre stelle sono tanti quanti i granelli di sabbia sul nostro pianeta. È necessario, per gli astronomi, analizzare la maggiore quantità possibile di dati, in modo da riuscire a fornire una risposta a numerosi interrogativi, anche attraverso la lettura delle firme molecolari nel momento in cui i pianeti non si trovano al buio.