Innovazione

Protesi di ultima generazione: robot, tecniche mininvasive e protocollo fast track, materiali biocompatibili

Protesti di ultima generazione
Contenuto curato da Massimo Chioni

Un incidente o una malattia che comportano una amputazione, o l’età che avanza, che rende le articolazioni meno efficienti, possono costringere a sottoporti a un intervento di protesi. Oggi però chiunque può oggi avvalersi di protesi di ultima generazione in grado di migliorare notevolmente la qualità della vita.

Tecnologie hi-tech, materiali biocompatibili e tecniche chirurgiche mininvasive permettono di ottenere risultati sorprendenti; vale sia per quanto riguarda la creazione di protesi di grande precisione sia la riduzione dei disagi post operatori.

Ne abbiamo parlato con il team di protesiginocchioanca.com; di seguito quello che è emerso dalla nostra chiacchierata.

Partiamo dall'inizio: protesi di ultima generazione. In cosa consistono e quali sono le differenze rispetto alle protesi tradizionali?

Le protesi di ultima generazione nascono da studi approfonditi in diversi ambiti scientifici, dall'ingegneria alla medicina, per creare apparati protesici dalle prestazioni elevate.

Troviamo ad esempio protesi robotiche sempre più precise, in grado di simulare non solo i movimenti più raffinati, ma anche di comunicare con il cervello; questo significa, per esempio, poter restituire al paziente anche la sensazione tattile di un arto.

Oggi ci si può avvalere anche di tecniche chirurgiche estremamente evolute, come quelle mininvasive; queste, oltre a ridurre i tempi di degenza e di ripresa del paziente, consentono anche di intervenire in modo più preciso e mirato, riducendo al massimo i rischi e i rigetti.

In riferimento alle protesi di ultima generazione, si parla molto di quelle robotiche che avete nominato anche voi. Cosa ci potete dire in proposito?

Le protesi robotiche vengono utilizzate molto spesso per sostituire gli arti mancanti per difetti genetici, mutilazioni o amputazioni. La maggior parte delle protesi robotiche permette ai pazienti di muovere gli arti contraendo determinati muscoli, ma la ricerca ingegneristica e scientifica non si è fermata qui.

Il lavoro che si sta facendo sulle protesi robotiche di ultima generazione sta portando alla creazione di arti artificiali che possono essere comandati direttamente dal cervello, proprio come un vero arto.

Grazie alla comunicazione con il cervello e all'utilizzo di materiali innovativi, le protesi robotiche permettono anche ai pazienti di recuperare la sensazione tattile.

Prima avete parlato di tecniche mininvasive. Cosa sono esattamente?

Come dice il nome stesso, si tratta di tecniche chirurgiche che hanno un impatto minimo sul corpo. Una delle differenze principali rispetto alla chirurgia di tipo tradizionale consiste nella dimensione dei tagli, i quali, quando si opera in modalità mininvasiva, sono di pochissimi centimetri.

Questo è permesso dal fatto che le tecniche mininvasive utilizzano tecnologie avanzate come microtelecamere e speciali bisturi; questi strumenti sono in grado di passare attraverso aperture di dimensioni contenute e di operare in modo estremamente preciso.

Entrando più nello specifico, il chirurgo effettua tagli di uno o due centimetri entro i quali introduce una sonda endoscopica dotata di una telecamera che trasmette su un monitor presente nella sala operatoria le immagini riprese all'interno del corpo. Quindi, utilizzando strumenti chirurgici idonei a questo tipo di operazione, opera il paziente.

Una delle tecniche chirurgiche mininvasive più note e utilizzate è la laparoscopia, ma esistono anche altre tecniche come l'endoscopia e la chirurgia robotica.

In che modo possono essere applicate alla chirurgia protesica?

Tra le operazioni che questo tipo di tecnica permette di effettuare troviamo quelle che interessano il cuore, i trapianti di organi, l'asportazione di tumori e naturalmente quello che interessa a noi: l'inserimento di protesi.

Le tecniche mininvasive permettono in particolare di effettuare l'inserimento di protesi al ginocchio e all'anca. Le protesi utilizzate sono estremamente resistenti e realizzate con materiali biocompatibili di ultima generazione.

I vantaggi principali di questo tipo di intervento protesico riguardano, oltre alla dimensione ridotta dei tagli, i tempi di degenza e recupero, che possono risultare addirittura dimezzati. Inoltre registriamo un minor numero di complicazioni e rigetti, anche grazie ai particolari materiali che vengono utilizzati.

Con questo tipo di chirurgia riusciamo a salvare parti ossee, muscolari e cartilaginee che con un intervento tradizionale potrebbero essere danneggiate.

A cosa vi riferite quando parlate di materiali biocompatibili?

Non tutti i materiali sono adatti alla produzione di protesi; alcuni possono causare coagulazione del sangue, rigetti, infiammazioni e cancro.

I materiali biocompatibili sono appunto quelli che possono essere impiantati senza gravi conseguenze nel corpo umano. Devono dunque essere atossici, non cancerogeni, resistenti, dotati di peso specifico adeguato e non corrosivi. In più, non devono far coagulare il sangue quando entrano in contatto con esso, devono limitare al massimo il rischio di rigetto e devono essere chimicamente stabili.

I biomateriali possono essere biologici, metallici, polimeri e ceramici. I primi vengono utilizzati soprattutto per le protesi valvolari e vascolari. I materiali biocompatibili metallici sono quelli utilizzati in special modo in ambito ortopedico o per le protesi dentarie. Tra questi troviamo l'acciaio e il titanio. Tra i polimeri più utilizzati per la creazione di protesi troviamo il silicone e i poliuretani.  I biomateriali ceramici, per finire, vengono utilizzati soprattutto per protesi dentarie e protesi dell'anca.

Questo tipo di tecniche chirurgiche sono dunque da preferirsi a quelle tradizionali?

Non esiste una risposta univoca, in quanto molto dipende dal tipo di operazione che si va a eseguire.

L'aspetto più importante delle tecniche mininvasive risiede principalmente nella riduzione non solo del ricovero ospedaliero, ma anche della riabilitazione. Un paziente operato con tecniche mininvasive si riprende solitamente molto più in fretta rispetto a chi viene sottoposto a operazioni di tipo tradizionale.

Naturalmente la scelta del tipo di operazione a cui sottoporsi dev'essere presa insieme al chirurgo. Quest'ultimo, applicando il protocollo fast track, renderà tutto il percorso del paziente il meno traumatico e il più efficace possibile.

Protocollo fast track: potete spiegarci di cosa si tratta?

Quando si parla di fast track si fa riferimento a un protocollo che può essere applicato a qualsiasi ramo della medicina e chirurgia, compresa quella protesica. Venne messo a punto dal chirurgo Henrik Kehlet verso la fine degli anni Novanta per migliorare la chirurgia addominale, ma presto trovò applicazione in molti altri ambiti.

Nello specifico, si tratta di un percorso multidisciplinare che, oltre a coinvolgere molti specialisti, tra cui il chirurgo, il fisioterapista, lo psicologo, l'anestesista, gli infermieri e i tecnici, tiene conto anche delle esigenze specifiche del paziente. Il fine di questo protocollo è quello di rendere tutte le fasi dell'operazione e del post-operatorio più semplici da gestire e superare, oltre che più efficaci.