Marketing

Modello Aida: attenzione, interesse, desiderio, azione

Contenuto curato da Massimo Chioni

Il modello Aida serve a sintetizzare i punti più importanti che dovrebbero essere affrontati e presi in considerazione da qualunque strategia pubblicitaria. Questo modello è stato proposto addirittura alla fine del XIX secolo: a idearlo fu Elias St. Elmo Lewis, che in questo modo diede vita a un modello teorico relativo al funzionamento della pubblicità. Aida è l’acronimo di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione.

La fase di attenzione

Il primo step in una campagna marketing strutturata con il modello aida è quello relativo all’attenzione: si potrebbe anche parlare di Awareness. Lo scopo è quello di catturare l’attenzione delle persone, attraverso un vero e proprio richiamo, non di carattere informativo. L’obiettivo può essere raggiunto in tanti modi diversi: nel caso di uno spot pubblicitario trasmesso in radio, per esempio, attraverso un volume del suono più alto; nel caso di un cartellone pubblicitario, con la scelta di colori vivaci; nel caso di un banner su Internet, tramite il ricorso a dimensioni evidenti. Come si può intuire, sono parecchi gli espedienti su cui si può fare affidamento per aumentare le probabilità di essere in grado di catturare la curiosità delle persone. L’impegno, però, è più ostico di quel che si potrebbe pensare, anche perché il pubblico è esposto in maniera costante a messaggi pubblicitari di qualsiasi tipo.

La fase di interesse

Il passaggio successivo, in base a quanto proposto dal modello Aida, è quello di mantenere l’interesse delle persone. L’attenzione del pubblico è già stata conquistata, e così si ha a disposizione un piccolo tesoretto che non può andare sprecato. Che cosa si deve fare a questo punto? Per esempio illustrare in modo il più possibile chiaro i benefici di quello che si promuove. Questo vuol dire mettere in risalto i vantaggi offerti da un eventuale acquisto: la mission è non solo quella di suscitare interesse, ma soprattutto quella di mantenerlo nel corso del tempo. Le strategie che si possono mettere in pratica sono molteplici: è possibile dare al pubblico tutte le informazioni utili per conoscere il servizio o il prodotto da promuovere, ma al tempo stesso ci si deve impegnare per raccogliere dati relativi a quello stesso pubblico, così che possano essere capiti i suoi obiettivi e il suo comportamento.

La fase di desiderio

Con la fase di desiderio, che rappresenta il terzo step del modello Aida, ci si ritrova in una fase del percorso del cliente già inoltrata, nel senso che ormai si è compresa la preferenza verso un certo prodotto o un particolare servizio, così come è chiaro l’intento di proseguire in direzione di un acquisto. Tuttavia non si può ancora considerare del tutto raggiunto il proprio obiettivo, e c’è ancora il rischio che all’ultimo momento il cliente cambi idea. Come fare per impedire che ciò succeda? Per esempio è possibile mettere in risalto e amplificare i vantaggi del prodotto in questione, sottolineando le differenze nel confronto con le proposte dei competitor. In questa fase, in sostanza, il potenziale cliente ha deciso di comprare un certo prodotto, ma potrebbe ancora scegliere un marchio diverso.

La fase di azione

E così si giunge alla fase di azione, che costituisce il quarto e ultimo step del modello Aida: questo è il momento dell’acquisto, il che vuol dire che il messaggio pubblicitario si manifesta in modo esplicito in tutta la propria chiarezza. Questo ruolo viene svolto, per esempio, dalle call to action, che comunque possono essere realizzate in varie modalità: quella più classica prevede di invitare il consumatore all’acquisto, mentre altre soluzioni possono indicare una scadenza oltre la quale non si potrà più beneficiare di un certo vantaggio (per esempio, uno sconto con durata limitata).

Che cos’è di preciso il modello Aida

Il modello Aida, in buona sostanza, non è che uno dei numerosi funnel del marketing: anzi, a ben vedere si può parlare di uno dei primi funnel del settore della pubblicità. Se con la fase iniziale si è alle prese con un pubblico decisamente ampio, a mano a mano che si procede, e ci si dirige verso l’acquisto che rappresenta il passaggio finale, la platea si restringe sempre di più. Il compito degli specialisti del marketing è quello di far sì che, tra un passaggio e quello successivo, la quantità di persone che escono dal funnel sia la più ridotta possibile.

Pregi e difetti del modello Aida

È evidente che un modello che è stato concepito più di un secolo fa presenta dei punti deboli: è datato, e per forza di cose non può tenere conto dei mezzi di comunicazione odierni, dai social network alla stessa televisione. Per quanto sia stato criticato durante tutto il Novecento e anche altre, comunque, il modello Aida ancora adesso viene chiamato in causa nella comunicazione integrata di marketing, in quanto contribuisce a verificare che tutto sia organizzato per agevolare gli acquisti della clientela. Una delle critiche più frequenti riguarda la semplicità eccessiva di questa proposta teorica: ma è inevitabile che sia così, visto che si tratta di uno schema e in quanto tale non può che essere semplicistico. Il problema è che Aida pone come punto di riferimento un flusso lineare che, però, in concreto non aderisce alla realtà perché è un po’ troppo ottimistico.

Perché il modello Aida ha ancora un senso

Ma quelli che possono apparire come i difetti di Aida sono anche i suoi pregi: un modello così chiaro e così semplice, infatti, si dimostra molto versatile e può essere applicato dappertutto nel settore del marketing. Benché possa essere molto – o addirittura troppo – semplice, il modello Aida è stato scelto come punto di partenza per lo sviluppo di modelli caratterizzati da un livello di complessità più elevato e di sicuro più strutturati, perché formati da un numero di passaggi superiore. Ecco perché in un certo senso Aida può essere ritenuto il progenitore del modello Hierarchy of Effects, giusto per citare uno dei più famosi: ma tra gli altri modelli che sono debitori nei confronti di Aida ci sono anche la formula Dagmar e il modello Aidas. Niente male per un vecchietto dell’Ottocento.

Lascia un commento